Utilizzare le armi della natura per risanare i suoli inquinati da esplosivi?
In Svizzera, il suolo di molti siti è contaminato da munizioni o residui di munizioni. Per risanare questi siti e ripristinare al meglio l'ecosistema interessato, oggi sono necessarie metodologie innovative. In un progetto di ricerca, si è analizzata la capacità di biodegradazione di alcuni microrganismi: potrebbero batteri e funghi essere la chiave del problema?
Dott.ssa Anne-Laure Gassner, settore specialistico Esplosivi e sorveglianza delle munizioni, e Lucas Ballerstedt, Stato maggiore, settore di competenza Scienza e tecnologia

In breve
Dott.ssa Anne-Laure Gassner è una capoprogetto scientifica nel settore specialistico Esplosivi e sorveglianza delle munizioni presso armasuisse Scienza e tecnologia (S+T). È responsabile di progetti di ricerca. Nel contributo fornisce informazioni sullecapacità di biodegradazione di alcuni microrganismi, per risanare siti e ripristinare al meglio l'ecosistema interessato.
In tutto il mondo, molti luoghi sono inquinati da munizioni o residui di munizioni. Nel nostro Paese, tre tipi di siti sono interessati da questa problematica: i laghi a causa dell'immersione di munizioni o del loro uso come bersaglio per esercitazioni, i siti di esplosioni accidentali e, infine, le piazze di tiro dove si svolgono regolarmente le esercitazioni. Pertanto, questo progetto, che si concentra sul risanamento del terreno inquinato da esplosivi, si focalizza solo sulle ultime due tematiche.
Sulle piazze di tiro sono presenti quantità significative di piombo a causa del loro lungo utilizzo da parte dell'Esercito svizzero. Oltre al piombo, possono essere presenti anche altri metalli pesanti come rame o antimonio. Una cartuccia GP 90, ad esempio, contiene circa 3 grammi di piombo. Considerando che nel 2021 sono stati sparati circa 25,6 milioni di GP 90, il potenziale di inquinamento in assenza di misure di protezione o di raccolta è considerevole. Ma le munizioni contengono anche esplosivi organici, come il TNT. Una bomba a mano, ad esempio, contiene già più di 100 grammi di esplosivo. Poiché il processo di esplosione non è perfetto, è probabile che residui di esplosivi e di polvere siano presenti anche sulle piazze di tiro.
Risanamento: quali sono le opzioni?
Se un sito deve essere risanato, esistono tre opzioni: in un processo «fuori sito», il suolo contaminato viene escavato, trasportato e trattato al di fuori del sito. Un processo «sul sito» segue gli stessi passaggi, tranne se il trattamento avviene in un impianto allestito sul posto. L'ultima opzione è il trattamento «in situ», che non richiede né escavazione, né trasporto. Questo consiste nell'eliminare o immobilizzare gli inquinanti senza spostare materiale, lasciando il suolo intatto al termine del trattamento.
Per eliminare gli inquinanti, esistono molti processi in situ, tra cui metodi biologici. Questi ultimi sfruttano la biodegradabilità degli inquinanti sotto l'effetto di microrganismi, i quali trasformano chimicamente gli inquinanti organici per ottenere energia. In altre parole, si nutrono degli inquinanti presenti nel terreno. Idealmente, l'obiettivo è degradare un composto nei suoi componenti minerali, una base che potrà essere nuovamente utilizzata dalle piante. Questo processo è noto come mineralizzazione.
L'obiettivo di questo progetto di ricerca è quindi di valutare se i metodi di risanamento biologici potrebbero essere applicati alla degradazione degli esplosivi presenti nel suolo. Bisogna sapere che la biodiversità del suolo è molto complessa. Infatti, in un grammo di suolo possono essere presenti circa un miliardo di batteri e tra 2000 e 10 000 specie batteriche. Alcune di esse potrebbero aver acquisito la capacità di degradare alcuni esplosivi. I microrganismi attivi nella degradazione possono già essere presenti nel terreno del sito inquinato. Si parla allora di biostimolazione, oppure si possono aggiungere microrganismi esogeni (bioaumento). Tuttavia, non basta trovare i microrganismi adeguati e disperderli semplicemente nel suolo. È essenziale ottimizzare le loro condizioni di lavoro e in particolare stimolare la loro attività fornendo nutrienti. È inoltre importante che non siano patogeni per l’uomo (gruppo 1), condizione imprescindibile per essere utilizzati nel biorisanamento.
Classificazione dei microrganismi:
i microrganismi sono classificati in quattro gruppi diversi in base ai rischi che rappresentano per gli esseri umani e per l'ecosistema in generale. Più alta è la classificazione, maggiore è il rischio di patogenicità per l'uomo e di diffusione. Nel campo del biorisanamento, vengono utilizzati solo microrganismi del gruppo 1, non patogeni e senza rischio di diffusione.
Quali sono le fasi del progetto?
Questo progetto è una collaborazione con la società TIBIO, attiva nella biotecnologia ambientale e nella consulenza scientifica. È diviso in cinque fasi (figura in basso) che iniziano con esperimenti di laboratorio, su piccola scala, per avvicinarsi fase dopo fase alle condizioni reali di applicazione. La prima fase consiste nel trovare microrganismi in grado di degradare gli esplosivi interessati. A tal fine, è stato scelto un sito come potenziale fonte a causa della presenza di residui di esplosivi nel suolo. Inoltre, poiché il sito scelto è rimasto intatto per un lungo periodo, è possibile che i microrganismi locali abbiano imparato a nutrirsi degli inquinanti. A tal fine, all'interno di questo sito vengono prelevati tre campioni di suolo. I microrganismi in grado di sopravvivere in presenza di esplosivi vengono poi isolati e identificati. Nella seconda fase, i microrganismi selezionati verranno coltivati in quantità maggiore per valutare i costi d'uso su larga scala del mix di trattamento. Infatti, se il biorisanamento risultasse più costoso di uno risanamento ex situ, sarebbe difficile giustificarne l'applicazione. Successivamente si terranno in laboratorio test di biorisanamento. A questo punto si valuterà l’efficacia della biodegradazione e si verificherà che i prodotti di degradazione non siano più tossici delle sostanze iniziali. Se viene ottenuta una degradazione di almeno il 50 % della concentrazione iniziale di inquinante, potranno essere effettuati i primi test su una piccola parcella. Infine, si potrà effettuare un biorisanamento su scala reale.

Conclusioni e previsioni
Attualmente, il progetto ha appena completato con successo la seconda fase e i primi test di degradazione in laboratorio dovrebbero essere avviati nei prossimi mesi. Tuttavia, ogni fase comprende una serie di sfide e ostacoli che potrebbero bloccare il progetto e richiedere di ripartire dai blocchi di partenza.
